Progettazione consapevole

La salute nelle costruzioni moderne: le sfide del domani

15 Giugno 2020

Individuo, ambiente e costruzione sono realtà strettamente interdipendenti e l’integrazione delle esigenze di ognuna di queste componenti è fondamentale per la sostenibilità così come per la salubrità delle moderne costruzioni. L’articolo offre una breve serie di principi generali per una progettazione più consapevole dei fabbricati del nostro tempo.

Lo sviluppo delle abitazioni e del patrimonio edilizio in genere, come conseguenza della stanzialità dell’uomo, ha avuto un impatto determinante per lo sviluppo del genere umano così come per il pianeta, cioè per l’ambiente che ci ospita. Questo processo di stanzialità, iniziato circa 20.000 anni fa ha comportato una enorme crescita in termini demografici della nostra specie, anche se questo processo non è stato privo di ostacoli, o vere e proprie catastrofi dovute alla scelta di legarsi ad un territorio, ad una attività e alla necessità di vivere all’interno di ambienti confinati. Nell’evoluzione della stanzialità, si possono individuare, ed hanno rilevanza economica, ecologica e medica, tre ordini di relazioni: quelle tra uomo e ambiente, quelle tra uomo e costruzione e quelle tra costruzione e ambiente [fig. 1]. Tutti questi punti, che hanno determinato e guidano lo sviluppo delle tecnologie, del costruire e del vivere, sono molto più interdipendenti di quanto si possa immaginare. Una breve disamina di questi aspetti ci permetterà di inquadrare meglio il tema della salubrità degli ambienti confinati globalmente intesa.

Uomo e ambiente

L’uomo esiste da circa un milione di anni sulla terra, si è evoluto a partire dai primati nel corno d’Africa e ha colonizzato l’intero pianeta camminando, raccogliendo cibo e cacciando. Il rapporto, quasi sempre conflittuale, con l’ambiente ha certamente limitato la crescita demografica: in quell’era lunghissima (chiamata paleolitico) in cui l’uomo era nomade, cacciatore e raccoglitore, la numerosità stimata dei nostri progenitori è passata da circa 200 esemplari all’inizio della speciazione al mezzo milione alla fine di quest’era. Circa 20.000 anni fa, quindi molto di recente, se consideriamo l’intera esistenza della specie, la vita dell’uomo viene sconvolta dai frutti della sua intelligenza: la scoperta dell’agricoltura e dell’allevamento di animali come sorgente di proteine e di forza lavoro. La necessità di proteggere con delle costruzioni il raccolto e gli animali, oltre che se stesso, ha comportato la stanzialità. Era nato il neolitico e, con questo, la civiltà.

Fig. 1 – L’interdipendenza tra uomo, costruzione e ambiente regola lo scenario nel quale costruire il futuro.

L’ambiente è divenuto meno ostile, il futuro meno incerto e questo ha permesso alla specie uomo di crescere di 14.000 volte in soli ventimila anni, un incremento mai rilevato in precedenza [fig. 2]. Questo incremento demografico iniziato nel neolitico ha assunto una progressione pressoché geometrica anche negli anni più recenti, grazie al miglioramento delle condizioni di vita e alla presenza di costruzioni. Attualmente il cittadino occidentale trascorre il 95% della propria esistenza in ambienti confinati.

Fig. 2 – L’impressionante aumento della popolazione mondiale osservato negli ultimi secoli, ottenuto mediante lo sviluppo delle costruzioni.

Un’adeguata relazione “ambiente/uomo”, presuppone l’equilibrio tra la capacità del primo di essere accogliente senza deteriorarsi e la possibilità del secondo di svilupparsi al suo interno sia in termini di numero che di qualità degli individui. Questo adattamento presuppone un meccanismo di interazione con l’ambiente, di sfruttamento delle sue risorse per la nutrizione e la moltiplicazione della specie. Cardine di questa interazione è la possibilità di ottenere dagli organismi progenitori le informazioni per interagire con l’ambiente esterno.

Più è preciso questo meccanismo e il codice con cui si trasmettono queste informazioni, più aumentano le probabilità di sopravvivenza dell’individuo. Tale caposaldo della biologia si basa però sulla stabilità dell’ambiente lungo le generazioni, evento questo non sempre vero. Questo meccanismo deve quindi essere fedele nella trasmissione dell’informazione, ma deve essere in grado di generare individui capaci di interagire con un ambiente nuovo, senza conoscenze preliminari. Per capire come questo avviene bisogna passare dalla teoria alla pratica. Gli organismi superiori trasmettono queste informazioni attraverso una molecola straordinaria che è il DNA, due filamenti legati tra loro come una scala a pioli ritorta in cui ogni piolo è dato da due basi azotate complementari legate tra loro da un legame debole ma ognuna fissata agli assi esterni.

La sequenza delle quattro basi costituisce il cosiddetto codice genetico, che nell’uomo è di circa 6 miliardi di basi. In pochi femtogrammi (10-15 grammi) sono stoccate le informazioni su come costruire più di 20.000 proteine regolandone finissimamente la velocità di sintesi. Le proteine poi mediano l’interazione con l’ambiente. La natura ha bilanciato queste esigenze (garantire una variabilità e un’evoluzione dell’informazione trasmessa) con un’eleganza sublime: la molecola (o il complesso di molecole) che garantisce la duplicazione del DNA immette una dose minima di errori di trascrizione nel DNA, diversificando quindi la struttura o la regolazione delle proteine e modificando, in tempi molto lunghi, le specie viventi. A seconda dell’ambiente in cui si trova l’individuo, le diverse modifiche del codice, e talvolta la stessa modifica, possono restare silenti, tradursi in un importante vantaggio biologico, o in una di quelle che noi chiamiamo comunemente malattie genetiche. La natura non smette mai di sperimentare, inducendo variazioni nel singolo individuo con l’intento (ragionando finalisticamente) di preservare la specie.

Sono caratteristiche di questo modello di adattamento, la lentezza con cui vengono introdotte le variazioni (che si manifestano solo tra generazioni), e la sua applicabilità ad ogni relazione tra ambiente e uomo, sperimentata nel corso di milioni di anni di evoluzione ma valida anche in caso di adattamento ad ambienti artificiali, come vedremo.

Questa premessa è necessaria per capire che, mentre le specie viventi possono superare cambiamenti ambientali improvvisi, sono i singoli individui che le compongono a pagare il prezzo più alto, sia in termini di qualità della vita, sia di sopravvivenza.

Uomo e costruzioni

Teoricamente, l’ambiente ideale per l’uomo è quello in cui si è sviluppato il suo DNA, cioè gli spazi aperti della foresta, in cui vivono i primati con cui condividiamo più del 98% del DNA (e quindi della capacità di interazione con l’ambiente). Mentre sono innegabili i vantaggi del vivere in ambienti confinati, bisogna riconoscere che molti apparati e organi, tra cui quelli di senso, sono concepiti e funzionano al meglio in ambienti esterni.

La percezione visiva dell’ambiente circostante si basa sulla convergenza e proiezione delle immagini sulla retina dell’occhio. Mentre la visione di oggetti lontani non richiede un lavoro di messa a fuoco, quelli vicini, cioè al di sotto dei 6 metri, richiedono l’intervento del muscolo ciliare per aumentare lo spessore del cristallino e proiettare correttamente l’immagine sulla retina. Ne deriva che, nella grande maggioranza delle costruzioni, il muscolo ciliare è in esercizio anche nel momento in cui fissa l’oggetto più lontano. Si tratta di uno sforzo inconscio che apparentemente non genera disturbi, ma che non ha alternative in un ambiente confinato.

L’udito è strutturato in modo da sentire al meglio il suono degli oggetti posti davanti e in basso ma risente dalle interferenze delle onde acustiche riflesse: il riverbero delle onde acustiche in spazi confinati limita fortemente la percezione della parola e la sua intelligibilità, tanto che il miglior parametro per la fruibilità di un ambiente dal punto di vista acustico è il tempo di riverbero, cioè il tempo di permanenza dell’energia sonora all’interno dell’ambiente, mentre la naturale tendenza dell’onda acustica è quella di allontanarsi e disperdersi senza ritorno. L’esposizione a microclimi umidi, freddi o troppo caldi in ambienti confinati induce limitazioni fisiche o emotive che influenzano la vita quotidiana (dispnea, inappetenza, bassa vitalità, insoddisfazione), condizioni che sono però facilmente risolvibili con interventi di natura edilizia e non medica(1).

Vi sono poi aspetti francamente patologici della permanenza in ambienti confinati, che vanno analizzati più in dettaglio. Quando una cattiva relazione tra due categorie così ampie e variabili come l’uomo e la costruzione vede responsabilità solo in quest’ultima, si parla di malattia da costruzione (Building Related Illness, BRI). Questa situazione fa sì che chiunque abiti un certo ambiente rischia di contrarre la malattia. Alcuni casi paradigmatici sono la legionellosi, polmonite generata dalla diffusione del batterio nei sistemi di umidificazione e condizionamento.

Il cancro del polmone nei non fumatori, inoltre, è legato principalmente ad alti livelli di radon, condizione non infrequente in un paese come l’Italia. L’esposizione alle muffe all’interno delle costruzioni, infine, oltre alle ben note patologie respiratorie, asma in testa, espone al rischio di danni cerebrali permanenti non dissimili a quelli dovuti ad un trauma cerebrale di media entità. Molto più diffusa è una sorta di concorso nella genesi della condizione: la patologia si sviluppa quando un ambiente con un particolare limite viene abitato da un soggetto con una intrinseca predisposizione a sviluppare una certa malattia.

Il caso paradigmatico è la Sick Building Syndrome (SBS) (2), sindrome da edificio malato che, dal punto di vista nosologico, dopo sei mesi di permanenza del quadro clinico viene catalogata come Sensibilità da Agenti Chimici Multipli(3). L’irritazione di epiteli e mucose, e disturbi del sistema nervoso centrale sono i disturbi principalmente riportati dai soggetti colpiti [fig. 3].

Fig. 3 – I sintomi prevalentemente accusati da soggetti con Sick Building Syndrome.

Le condizioni ambientali che riducono la fruibilità degli ambienti sono principalmente la cattiva qualità dell’aria, dell’illuminazione, del riscaldamento(2, 4), che inducono il quadro clinico della SBS nei soggetti con aumentata sensibilità. Le BRI possono essere gravi o fatali, ma fortunatamente sono meno frequenti delle SBS. La prevalenza di quest’ultima è difficile da quantificare per l’eterogeneità delle condizioni analizzate e la difficoltà intrinseca delle misurazioni. Stime prudenti indicano che un ambiente su tre del mondo occidentale abbia limitazioni dell’aerazione che potrebbero potenzialmente condurre alla sindrome, mentre due studi indipendenti condotti in Europa e in Asia indicano in un 10% la popolazione che può sviluppare questa sindrome. Bisogna anche ricordare che per condizioni di estrema trascuratezza dell’ambiente o funzioni intellettuali cosiddette fini (memoria o elaborazione intellettuale) gli effetti sono ubiquitari.

Queste condizioni nascono dalla mancanza di un sistema di interazione con sostanze e materiali, naturali o di sintesi, che costituiscono l’ambiente. Si è in pratica esposti a una serie di prodotti che possono essere considerati inerti nel migliore dei casi, come i laterizi di qualità e non trattati con additivi chimici, ma che in casi meno fortunati possono avere un considerevole impatto negativo sulla salute. La commercializzazione di un certo materiale, da costruzione o meno, avviene secondo direttive europee dopo che ne è stata provata la non dannosità dei suoi componenti, prova che è sostenuta economicamente da chi commercializza. Ci sono delle falle nel sistema? Almeno due sono degne di essere citate: l’acquisto di un materiale prodotto al di fuori dalla CE può sfuggire a questa verifica.

Ad esempio, una legge USA permette di non dichiarare alcuni componenti (fino al 17%) dei prodotti americani(5). Questi sono componenti minoritari che conferiscono caratteristiche uniche a certi prodotti e possono essere uno stimolo alla concorrenza, ma il 60% dei rapporti sulle reazioni avverse inoltrati all’Agenzia della Protezione Ambientale riguarda proprio questi composti nascosti. Inoltre, mentre due composti usati isolatamente possono risultare innocui, la loro combinazione può essere pericolosa, specie quando questi vengono lasciati interagire per decenni, come è tipico delle costruzioni. Tra i meccanismi che peggiorano la qualità ambientale va annoverato l’uomo stesso: ambienti ristretti si caricano spesso dei suoi rifiuti metabolici contribuendo in modo sostanziale al peggioramento della qualità dell’ambiente.

L’uomo disperde circa 1.600 calorie ogni 24 ore nell’ambiente circostante sotto forma di energia luminosa o termica, questa energia è prodotta a spese di ossigeno consumato e di CO2 prodotta, oltre a circa 2 grammi di cellule morte. Tutti questi elementi sono fortemente impattanti sulla salute umana e sul suo benessere. Non solo, un uomo rilascia ogni giorno poco meno di un litro di acqua sotto forma di vapore. Se non viene disperso, magari per andare incontro a misure di contenimento energetico, questo vapore condensa sulle pareti e favorisce la crescita di muffe. Il risparmio energetico è un argomento di primario interesse politico ed economico, talora perseguito a scapito del comfort e della salubrità dell’ambiente costruito. Tuttavia, è possibile coniugare il risparmio energetico con la salubrità degli edifici in un modello di progettazione innovativo, tecnicamente e tecnologicamente avanzato.

A lanciare l’allarme sull’inquinamento dell’aria negli ambienti confinati, oltre all’Organizzazione Mondiale della Sanità, è stato il CNR: almeno il 10% degli edifici adibiti a uffici in ognuno degli otto paesi coinvolti nello studio «OfficAir Project» (Italia, Francia, Finlandia, Olanda, Ungheria, Grecia, Spagna e Portogallo) presenta livelli di inquinanti superiori a quelli esterni, e talora valori superiori a quelli soglia. Le maggiori fonti di questo inquinamento sono le pavimentazioni (linoleum), gli arredi in legno, colle, vernici, prodotti di pulizia, detergenti, deodoranti, fotocopiatrici e stampanti. Uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine nel 2013 rileva che tra i fattori di rischio più importanti nel ridurre la qualità e/o l’aspettativa di vita (al terzo, al nono e al venticinquesimo posto) vi sono condizioni correlate con la permanenza in ambienti confinati, la presenza di sostanze nocive al loro interno, o l’utilizzo domestico di combustibili solidi(6). La Household Air Pollution Commission ha pubblicato dati allarmanti sull’inquinamento indoor: si tratterebbe della principale causa di decesso legata all’ambiente, determinando da 3,5 a 4 milioni di decessi (dato del 2010) su scala globale.

Il pericolo per la salute generato da costruzioni insalubri ha anche risvolti sul diritto. Le norme igienico-sanitarie in materia edilizia, secondo il Regio Decreto n. 1265/1934 del 27 luglio 1934, e nel Decreto Ministeriale (sanità) 5 luglio 1975, scaturiscono da una realtà urbanistica-edilizia-igienica e amministrativa completamente diversa da quella attuale. Oggigiorno, il significato della terminologia è ovviamente mutato alla luce di tutte le considerazioni, valutazioni, introduzioni successive (Testo Unico n. 380/01 compreso) e il termine salubrità, ha acquisito un senso molto più estensivo, pregnante e soprattutto vincolante dal punto di vista giuridico.

Costruzione e ambiente

Un terzo capitolo dell’analisi dei rapporti tra costruzioni e salute è quello del costo per l’ambiente. Oltre a considerare la biocompatibilità delle costruzioni, la loro ecosostenibilità finale va distinta tra quella dell’utilizzo e quella dei singoli elementi costruttivi.

Se la direttiva europea “EPBD2” prevede che entro il 2020 debbano essere realizzati esclusivamente edifici il cui il «fabbisogno energetico molto basso o quasi nullo dovrebbe essere coperto in misura molto significativa da energia da fonti rinnovabili, compresa l’energia da fonti rinnovabili prodotta in loco o nelle vicinanze» (i cosiddetti nearly Zero Energy Buildings, Fabbricati nZEB), gli indirizzi comunitari sui componenti delle costruzioni sono meno stringenti. Un materiale può essere salubre ma il suo onere per l’habitat può essere molto elevato o insostenibile, come per alcuni legni tropicali, oppure ci sono materiali naturali assolutamente performanti ed economici, di cui vi è grande abbondanza, ma pericolosi per l’individuo.

Un tipico esempio di quest’ultima categoria è l’amianto. Poiché la tecnologia avanza, non si devono considerare queste distinzioni fisse ed inamovibili, ed è possibile che materiali ora rari possano essere prodotti in larga scala, come materiali pericolosi vengano impiegati in modo da non impattare più sulla salute dell’uomo.

L’uso del laterizio nelle costruzioni offre da sempre innumerevoli vantaggi. Le doti di coibenza e inerzia termica, la gradevolezza della temperatura superficiale, l’igroscopicità, la traspirabilità e le capacità di assorbimento di sostanze volatili ne fanno un materiale pressoché ideale. Dal punto di vista della salubrità, le doti sopra descritte costituiscono una garanzia: la letteratura medica non riporta sostanziali relazioni tra uso di laterizi nelle costruzioni e danno alla salute, per lo meno per l’utilizzatore finale. Il termine laterizio è tuttavia molto generico e accomuna materiali di diversa origine, con diverso tipo di lavorazione e quasi sempre una quota di materiale di riciclo sempre tracciabile. Il tipo di lavorazione, tuttavia, può fare la differenza tra prodotti in laterizio sulla salute umana e forse dell’intero pianeta. Un articolo comparso su Nature del Novembre 2014 cita, tra i più forti contributori al cambiamento climatico e alla salute dell’uomo, la produzione di metano atmosferico, di idrofluorocarburi, la riduzione dell’ozono atmosferico, la combustione di carbone e la produzione di anidride solforosa e ossidi di azoto. Con l’eccezione dei primi due, la produzione di mattoni è identificata come un contribuente fondamentale alla generazione di questi composti(7) [fig. 4]. La riduzione del consumo di energie non rinnovabili è iniziata nel settore dei laterizi negli anni ‘80 ed oggi, per ottenere una tonnellata di prodotto, si consumano intorno ai 43 metri cubi di gas naturale(8).

Fig. 4 – Caratteristiche delle maggiori fonti di inquinamento del mondo moderno.

Il consumo medio di energia per tonnellata di prodotto si è ridotto significativamente (-39%) tra il 1990 ed il 2007, un’ulteriore riduzione dei consumi sarà possibile solo con tecnologie innovative, mentre il ricorso a fonti rinnovabili, sarà possibile solo se si ridurranno significativamente i costi del gas di sintesi [roadmap ceramics]. Una riduzione decisa di questi composti per il 2030 potrebbe ridurre di due milioni/anno i morti a livello del pianeta e salvare 50 milioni di tonnellate di raccolto, oltre a rallentare il riscaldamento globale di mezzo grado e ridurre l’innalzamento del livello dei mari del 20% per la metà del secolo. In quest’ottica, un criterio premiante per chi produce con migliore tecnologia e basso impatto sarebbe più che mai opportuno(7).

Conclusioni

In una realtà in continua evoluzione e in un mondo con crescenti esigenze, la sfida è sviluppare una metodologia costruttiva che abbini il risparmio economico e la salubrità degli ambienti confinati a quello ambientale, promuovendo e tutelando al contempo la salute umana.

Questa sfida può essere vinta se i costruttori e le altre figure della filiera edilizia con quelle professionali (presenti sul mercato o da forgiare) sapranno integrare i bisogni dell’uomo con quelli dell’ambiente che lo ospita.

Bibliografia:
  1. H. Thomson, S. Thomas, E. Sellstrom, M. Petticrew, Housing improvements for health and associated socioeconomic outcomes (Review), The Cochrane Library 3 (2013): 1-330.
  2. P.S. Burge, Sick Building Syndrome, Occupation Environ Med 61 (2004):185–190.
  3. S.J. Genuis, Chemical Sensitivity: Pathophysiology or Pathopsychology? Clinical Therapeutics 35 (2013): 572-577.
  4. J.D. Spengler, Q. Chen, Indoor air quality factors in designing a healthy building, Annual Review of Energy and Environment (25) 2000:567–601.
  5. Toxic Substances Control Act (TSCA). EPA. Environmental Protection Agency, disponibile al sito www.epa.gov/agriculture/lsca.html (ultimo accesso 1 gennaio 2015).
  6. C.J.L. Murray, A.D. Lopez., Measuring the Global Burden of Disease, New England Journal of Medicine 369 (2013):448-457.
  7. J. Schmale, D. Shindell, E. von Schneidemesser, I. Chabay, M. Lawrence, Clean up our skies, Nature 515 (2014): 335-337.
  8. E. Biele, N. Di Franco, Guida operativa. Ottenimento dei certificati bianchi, Accessibile al sito www.fire-italia.it/pubblicazioni/go_laterizi_web.pdf (ultimo accesso 1 Gennaio 2015).
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